Una prima ipotesi sull’idea di istituzione
Ricerche, 6 novembre 2019
I grandi pensatori hanno sempre assunto un punto di vista istituzionale
“Qui sta il problema, si tratta di sapere dove si trova nella società il potere creativo”1, così Hauriou nel 1925. Il concetto di istituzione assimilabile ad un atto fondativo, determina uno spazio pubblico-politico ed è all’origine di una forma ordinamentale di relazioni sociali. Condizione essenziale per il sorgere di un’istituzione è quella che lo stesso Hauriou definisce “idée directrice”: una presa di posizione che potremmo tradurre anche come “atto di fede”, atto creativo. Scrive appunto Hauriou all’amico Jacques Chevalier il 14 giugno 1923: “La teoria dell’istituzione è al fondo legata all’idea di Dio.”2 E non a caso lo stesso Schmitt a proposito del nomos basileus, citando Hölderlin, soggiunge: “Il nomos…è la forma nella quale l’uomo incontra se stesso e Dio, la Chiesa e la legge dello Stato e le statuizioni ereditate, che, più rigorosamente dell’arte, tengono fermi quei rapporti vitali, in cui col tempo un popolo incontra e ha incontrato se stesso.”3
Istituzione politica e rappresentazione di senso fanno tutt’uno; si costituisce una forma intenzionata di senso di lungo periodo e tuttavia tale senso non è immediatamente presente alla percezione individuale che si dimostra meno reale di una tale
analogisierende Abbildung. La
Repräsentation, il suo senso ontologico, non si esaurisce in una pura oggettività, ma mantiene una propria alterità. “La pienezza della rappresentazione è…il sistema di quelle determinazioni ad esse relative, per mezzo delle quali essa rende presente il suo oggetto mediante l’analogia.”4 Un’intenzionalità rappresentativa, la sua irriducibilità ante predicativa si traduce in forma istituzionale e le consente di essere parte agente costitutiva: una forma vitale-strutturale di carattere teologico-giuridico proprio in quanto portatrice di rappresentazione.
Nell’istituzione politica la rappresentazione è rappresentazione concreta di una “forma personale” e questo è ciò che anima l’istituzione. L’apertura di senso della rappresentazione ad un trascendente interpersonale determina comunanza intersoggettiva – unità politica e permette il passaggio dalla pura soggettività ad una decisione politica in ultima istanza, sottraendola alla logica micidiale dei valori. Parafrasando Schmitt l’istituzione si colloca dunque tra “sostanzialismo totale” della teologia e il “totale funzionalismo” della tecnica5. Secondo Marion: “L’icona non manifesta né il volto umano né la natura divina che nessuno potrebbe guardare, ma, dicevano i teologi dell’icona, il rapporto dell’uno con l’altra nell’ipostasi, nella persona. L’icona cela e svela ciò su cui si fonda: lo scarto in essa del divino e del suo volto: visibilità dell’invisibilità, visibilità in cui l’invisibilità si mostra come tale.”6 Similmente, quale alterità irriducibile, l’istituzione rappresenta un’emergenza di cui il Berufung, la vocazione al trascendente attesta l’ontologia. La sua forza, la sua legittimità va oltre la semplice coercizione, il monopolio legittimo della violenza, ma possiede una propria risorsa di senso in grado di dare una risposta decisiva alla sfida della conflittualità. Annota acutamente Sequeri: “L’ontologia del significante simbolico è l’accadere del senso.”7
La forma, quale espressione di senso, è radicata nella conflittualità storica, non si erge ad istanza volontaristica, né assume carattere universalistico. Un’istituzione non formalistica con una propria vitalità e ratio, e allo stesso tempo rappresentazione di un trascendente interpersonale mantiene il senso nel mondo e affronta risolutamente un
Gesamtordnung sistemico che ormai abbraccia l’esistere nel suo insieme; questo sì un effettivo universalismo che giunge a penetrare negli impulsi di un’umanità ridotta a semplice entità desiderante. Costituirsi conflittualmente è proprio, come afferma Guardini, di un “concreto vivente”, di una fondazione costituente un caso concreto. E’ il suo stesso essere forma di senso che permette di incidere sull’ordine sociale e contempla come a priori non solo un governo politico e una struttura ordinativa, ma innanzitutto un mutamento radicale dello stato presente delle cose. Per questo appare inevitabile il riconoscimento di un radicamento trascendente non assimilabile allo scadimento temporale. Un “atto di fede”, ossia una decisione nella dimensione ontologicamente contingente richiede un affidamento ad un trascendente interpersonale; di qui l’
analogon istituzionale che rende autorità personale e pratica politica un tutt’uno. “Fintanto che rimane un residuo di idea, domina ancora l’attitudine a concepire qualcosa di precedente alla datità effettuale della materia, qualcosa di trascendente; e ciò significa sempre un’autorità dall’alto.”8
“Solo una persona può rappresentare in senso eminente, e appunto una persona dotata di autorità – ciò che segna la differenza rispetto al semplice ‘stare per altri –, oppure un’idea che, non appena viene rappresentata parimenti si personifica.”9 Il corpo vivente di una tale idea di istituzione, il “soggetto collettivo”, può essere denominato “aristocrazia politica”, dotata di una propria parzialità eccedente i diversi mondi vitali e disfunzionale alla sistematicità sociale. Un proprio mondo lo si dirige, lo si trasforma, lo si mantiene solo con una forma di senso, che è l’esito dell’intreccio reiterato tra atto costitutivo di aristocrazia politica e forma istituzionale. Un tale carattere dell’istituzione dispiega una contraddizione dall’alto, sempre eccedente il sistema, di cui una “bona fides” costituisce la forma di senso, la “motivazione prima” e la cui legittimità è attribuita da quella stessa relazione. “E’ necessario che ci sia nell’istituzione un elemento spirituale interno esistente dall’origine di cui il potere sia obbligato ad appropriarsi.”10
Se il senso deriva da una relazione ad un trascendente interpersonale, la forma rappresentativa istituzionale lo incarna quasi per “mandato personale”; il senso mediato si distende in prima istanza tramite quell’
analogon che è il corpo della persona e radica ontologicamente l’autorità istituzionale
der Politiker, che, proprio per il suo essere
Träger di senso, con la leva storica della
Macht oltrepassa il muro del soggettivismo e di qualunque decisionismo arbitrario. Esistenza e trascendenza, antropologia e istituzione politica si relazionano tramite la forma-persona. Il fondamento istituzionale che non può essere se non intersoggettivo è riferibile ad un “tipo umano” e la natura di una crisi presenta un inevitabile rimando antropologico ad un’assunzione di responsabilità. Si determina così “stile di vita” di un mondo e forma antropologica. Senza l’una non c’è neppure l’altra e senza entrambe non si dà non solo alcun agire politico, ma neppure la possibilità di incidere profondamente sulle condizioni date. Qualcosa in cui credere implica qualcuno a cui riferirsi e di cui si richiede la direzione. Senza istituzione non c’è un
analogon interpersonale; è la nozione di istituzione che determina la differenza sostanziale tra “persona”, portatrice di senso intersoggettivo, connotata da un rapporto d’amicizia, e individuo soggetto alle proprie pulsioni, impressioni, esperienze. Se sul piano antropologico il nemico è espresso da un individualismo narcisistico-nichilista, politicamente nemico è il sistema che va governato.
L’istituzione esprime l’essenzialità della pratica politica, del governo di una conflittualità ineliminabile, estranea ad ogni attesa escatologica; trova la propria unità politica, la propria forza strategica nella volontà connotata ontologicamente e non psicologicamente di un’aristocrazia politica. Questa espressione istituzionale della decisione di un’esistenza politica, di uno “stile di vita” traduce un’antropologia personalistica in persona politica e in soggetto di diritto. E’ con la Weltbild espressa dall’istituzione che la nozione di persona eccede la fatticità e contemporaneamente determina un trascendimento di sé, una soglia d’apertura all’alterità. L’immediatezza viene trasformata in struttura esperienziale. La motivazione del senso dispone la persona “dentro” e “sopra” la sua stessa condizione. La mediazione di quel “naturalmente artificiale”, per dirla con Plessner, che è l’istituzione, la sua natura di rapraesentatio dall’alto, calata nella concretezza storica, permette una sovradeterminazione ad ogni immediatezza pulsionale, ad un coacervo di stimoli e determina una relazione duratura, intersoggettiva tra persone e della persona con se stessa. Si dà una congruità, ma anche una superiorità della forma istituzionale sulla modalità antropologica. Il conseguente agire politico, che trae la sua forza dal basso e l’anima dall’alto, apre ad una forma di vita, ad un orizzonte di senso. La nozione di “persona” è alla base della stessa idea politica di popolo; è condizione per un popolo unito politicamente, il contrario dell’”esistenza naturale” di una massa di individui preda di impulsi sempre più automatici, metaumani, resi disponibili ad accettare qualunque cosa, bloccati come sono da una stabile angoscia aggressiva in un sistema nichilista che pretende di redimere il nulla. Se la matrice dell’esistenza politica di un popolo è costituita dalla rappresentazione istituzionale di senso, perché sussista un “popolo di signori”, in grado di inserirsi e agire in una dimensione planetaria, occorre un’istituzione politica adeguata, dotata di un proprio “spirito direttivo”.
Un’istituzione personalistica non è concepita con una finalità messianica, costituisce invece una struttura concreta di società, certo, attraversata da conflitti, ma a cui sa imprime una direttrice di condotta, uno “stile di vita” di lungo periodo. Una decisione di fede teologico politica, radicata in un trascendente interpersonale e matrice allo stesso tempo di un’antropologia di relazioni intersoggettive, genera la stessa nozione di nemico e ha nel suo destino la lotta politica, una risposta di parte al problema collettivo di governo del sistema sociale. La mancata neutralizzazione del conflitto esige una direzione, per non lasciare che la polarizzazione di istanze sociali si trasformi in forza puramente distruttiva; ogni catastrofe istituzionale non produce lotta politica, ma solo un caotico bellum omnium contra omnes. Così, senza annichilire la propria eccezionalità, l’istituzione è soggetta ad una forma di “immaginazione” di trasposizione negli altri ambiti sociali, ad una dinamica politica propria; è fonte di liberazione: “libera energie spirituali verso l’alto…e questo è ciò che si intende con la parola ‘libertà’…la libertà dell’estraneazione.”11
Una “decisione ordinata”, un’analogia radicata nella storia, si appropria di un mondo ed è riferimento per l’ontologia trascendentale di mondi vitali intessuti di rapporti intersoggettivi e dotati di una propria articolazione specifica. Chiarisce Schmitt: “tutti gli ambiti vitali che si sono andati formando non tecnicamente in conformità coi commerci, ma istituzionalmente…hanno in se stessi i loro concetti di ciò che è normale, di tipo normale e di situazione normale ed il loro contenuto di normalità non si esaurisce come in una tecnicizzata società dei commerci, nell’essere finzione calcolabile di una regolazione normativa. Essi hanno una propria sostanza giuridica, che conosce certo anche regole e regolarità generali, ma solo in quanto effetto di questa sostanza, soltanto a partire dal loro proprio interno ordinamento concreto, che non è la somma di quelle regole e funzioni.”12 L’atto fondativo, non assimilabile né ad uno scopo esterno, né tanto meno ad una funzione, necessita di strutturarsi in concreti ordinamenti di vita, in “mondi vitali” connotati da proprie relazioni intersoggettive secondo propri organi, condotte, tradizioni. L’istituente genera l’istituto. Tale forma istituzionale personale orienta e agisce in un’osmosi di simultaneità in uno spazio che ricrea e plasma con continuità:
Ordnung und Gestaltung si potrebbe dire. Si determina così un
ethos, una rifrazione e non uno statico rispecchiamento della decisione fondante; di conseguenza, se tale condizione si capovolge in crisi, questa diviene crisi strutturale che necessita dell’irruzione dell’eccezione. Infatti l’eccedenza dell’atto fondativo, al di là dei vari funzionamenti, rimane una trama di senso nella formazione di ogni istituzione sociale e ne garantisce l’interrelazione concreta. Tali mondi vitali, pur nella propria specifica differenziazione, presentano infatti un’interiorizzazione di un grado dell’idea formativa. Il corpo istituzionale è il loro “ordine concreto”. “L’idea passa momentaneamente allo stato soggettivo in migliaia di coscienze individuali, la invocano ed essa discende in mezzo a loro, che se l’appropriano soggettivandola.”13 Se la “materia sociale” è in sé indeterminata, se le istanze sociali salgono fino alla forma istituzionale, questa le orienta e in quanto parte governa il tutto.
Il partito da parte sua organizza bisogni, interessi e dirigere le lotte, e può tradurre la conflittualità sociale in senso istituzionale; spesso tuttavia, rinchiudendosi in se stesso, privo di questa Denkform si condanna ad una tattica di pura autoconservazione e si rivela incapace di elevarsi ad autorità sul sistema sociale. La strategia può (e in certi casi deve) essere rovesciata dalla tattica, a patto che sussista una visione politica di lungo periodo, altrimenti il tatticismo diventa sinonimo di subalternità inconcludente e di sconfitta certa: contro un dio solo un dio. Se la nozione di partito tendenzialmente è volta all’eliminazione del nemico dato il suo carattere messianico, dunque al superamento del politico, l’istituzione fondata su una relazione analogica e legata al concetto di persona, assume il governo del nemico, mantiene il politico e determina una struttura ordinamentale, ma non sottratta al conflitto. Ha in sé il carattere dell’eccezionalità e nel momento in cui assume in sé l’elemento personalistico di soggetto collettivo esprime la propria vocazione di presa di posizione sul conflitto, estranea ad ogni connotazione universalistica. L’universalismo, al contrario, è proprio della totalità sociale, caratterizzata sempre da un mito o da una pluralità di miti autoriflettenti nell’attesa di un ultimo atto della storia, dell’“evento”14.
La decisione istituzionale non permette alcun mediocre ripiegamento nell’armonia sociale di un ordine spontaneo, bensì fa sorgere un’autorità di combattimento essenziale per un ordinamento in uno spazio politico e in circostanze concrete. Istituzione e conflitto si tengono, come istituzione e persona, concetti questi radicati in un’ontologia che la nostra parte non ha elaborato, subordinandosi ad un utopico umanesimo o ad un semplice pessimismo realistico. Così se Chiesa e Impero, rappresentando un senso metafisico e facendosi carico dell’unità cristiana e del governo del mondo, si sono dimostrati i perni non tanto di una fondazione di un’identità culturale, quanto di una verità trascendente, lo Stato, frutto della rottura dell’unità cristiana, ha avuto bisogno di un mito esterno ed è finito funzionalizzato dalla potenza della tecnica, ossia dall’impossibilità rappresentativa. Forse bisognerebbe aver la forza di riconoscere una realtà difficile ma inequivocabile, espressa nel 1968, ancora una volta, da un conservatore come Forsthoff che ha tagliato il nodo gordiano del rapporto Stato/economia: “E’ ben evidente che gli elementi socio-statali della ridistribuzione e le implicazioni inerenti la cura dell’esistenza hanno un chiaro predominio sulla struttura del potere politico dello Stato. Essi uniscono in toto lo Stato al prodotto sociale e quindi anche alla prosperità economica. Questo legame precede tutta la politica statale sia all’interno che all’esterno. Essa penetra inoltre come costrizione a scanso di ogni rischio e perciò è un motivo fondamentale per il progressivo immobilismo politico.”15 E qui il ricordo corre all’affermazione di Weber (1895): “noi non pratichiamo la politica per creare felicità.”16
Senza un’idea di istituzione non si affronta né si governa questo “tempo della fine del tempo”. Il senso istituzionale o la sua mancanza contraddistingue la Zeitsignatur. Occorre una vocazione alla guida politica di uno spazio, che non è creatio ex nihilo, bensì forma di senso, motivazione pre-logica dell’agire intenzionale dotato di un grado maggiore di intensità e di forza di governo della società. Di fronte ad una società di una massa indistinta, annichilita da una primitivizzazione dell’esistere, l’”estraniazione” istituzionale, il suo “concreto vivente” costituisce l’affermazione di una libertà politicamente intesa. “L’uomo può mantenere un rapporto duraturo con se stesso e i suoi simili solo indirettamente, si deve ritrovare facendo una deviazione, estraniandosi, e la ci sono le istituzioni…Le istituzioni sono gli ordinamenti e i diritti che conservano e consumano, che ci sopravvivono di gran lunga, nei quali gli uomini si immettono a occhi aperti, con un tipo di libertà che è, per chi osa, forse più alta di quella che consisterebbe nell’’attività autonoma’, nell’’Io che pone se stesso’ di Fichte oppure nel suo fratellastro moderno, nel Man for himself di E. Fromm. E le istituzioni…se è vero che estraniano gli uomini dalla loro immediata soggettività prestandone loro una superiore che ha attraversato le esigenze del mondo e della storia pure li proteggono anche da se stessi, lasciando comunque posto, senza però pretenderlo, per un impegno elevato e incomparabilmente spirituale.”17
NOTE
1) M. Hauriou, Teoria dell’istituzione e della fondazione (1925), Milano 1967, p. 10.
2) Citazione tratta da J. Schmitz, La théorie de l’institution du doyen Maurice Hauriou, Paris 2013, p. 248.
3) C. Schmitt, I tre tipi di scienza giuridica (1934), Torino 2012, p. 13.
4) E. Husserl, Ricerche logiche, II° (1901), Milano 1968, p. 378.
5) C. Schmitt, Glossarium 4/10/1950, Milano 2001, p. 435.
6) J. L. Marion, L’idolo e la distanza, Milano 1970, p. 19.
7) P. Sequeri, Ritrattazione del simbolico. Logica dell’essere-performativo e teologia, Assisi 2012, p. 65.
8) C. Schmitt, Cattolicesimo romano e forma politica (1925), Milano 1986, p. 56.
9) Ivi, p. 50.
10) M. Hauriou, Précis de droit administratif et du droit public (1892), Paris 1921, p. 15 n.1.
11) A. Gehlen, Morale e ipermorale. Un’etica pluralistica (1969), Verona 2001, pp. 107-108.
12) C. Schmitt, I tre tipi di scienza giuridica, cit., p. 16.
13) M. Hauriou, Teoria dell’istituzione e della fondazione, cit., p. 23.
14) La costituzione di un’istituzione pone la domanda: quale senso dare all’esistenza? Domanda che non richiede una risposta esistenziale, bensì teologico politica, forgiata da una verità di senso. La teologia politica nel suo rapporto al trascendente non esclude affatto il conflitto, anzi la stessa sua forma personale implica conflittualità. Se l’amico è forma strutturale rispetto al trascendente, il nemico è destino storico dell’umano. “Stile di vita” e spazio pubblico-politico sono due elementi che si nutrono di tale rapporto, senza tuttavia giungere ad una sintesi finale.
15) Citato in A. Gehlen, Morale e ipermorale, cit., p. 128. Si può leggere in E. Canetti, Massa e potere (1960), Milano 1981, p. 228: “Ogniqualvolta, nel mondo moderno, si discute delle modalità di ripartizione dei beni, i seguaci e gli avversari del socialismo sono concordi nella premessa del problema: la produzione. Da ambedue le parti del conflitto ideologico che ha diviso la terra in due metà, di forza oggi quasi pari, la produzione è incrementata e sollecitata. Si produca per vendere o si produca per ripartire i beni il processo di tale produzione in se stesso non soltanto è leso da alcuna delle due parti, ma addirittura è venerato; e non si esagera quando si afferma che esso, agli occhi della maggior parte, ha qualcosa di sacro.” Ossia il “Regno” è sceso in terra.
16) M. Weber, Gesamtausgabe I/4-1, Tübingen 1993, p. 339.
17) A. Gehlen, Sulla nascita della libertà dall’estraniazione (1952), in Idem, Antropologia filosofica e teoria dell’azione, Napoli 1990, pp. 437-438.