Materiali di teologia politica dell'Europa e contributi al realismo politico

L'Europa si definisce dall'interno con le grandi correnti che non cessano di attraversarla e che la percorrono da lunghissimi tempi (Lucien Febvre)

ETHOS AGENTE CONTRO PATHOS POPULISTA
Interventi, 21 aprile 2019

Se telos è il dispiegarsi dinamico della verità apriori, l’ethos non può essere che prolessi di una nuova forma di protagonismo europeo perché contiene la prefigurazione della volontà di sovradeterminazione del Globo da parte del Mondo come forma ordinativa dell’agire dell’ethos. Quest’ultimo, fondato sul superamento di ogni forma di escatologia – quindi di primato dell’etica – è per essenza polemos contro la tirannia dei valori, base ideologica dell’internazionalizzazione del sistema sociale; il quale considera ordine spontaneo l’anarchia tecnico-economica globalizzata e governance la forma della Weltpolitik come caos destrutturato da dinamiche di neonazionalismo imperiale. L’ethos antimessianico è una pragmatica (e drammatica) esigenza posta dall’incapacità dei sistemi sociali organizzati in spazi sistemici di produrre leadership responsabili: chi decide è, in realtà, oggettivamente eterodiretto dal riemergere di miti – forse obsoleti, ma sempre efficaci perché mai morti – la cui potenza di mobilitazione è oggi enormemente amplificata dal sistema dei mass-media in accelerata fase d’innovazione, che ha reso tanto raffinata quanto incontenibile la capacità di manipolazione e di cattura del consenso. Al punto che è tale sistema – costituente il perno del “quaternario” e quindi il motore più innovativo dell’ultima forma di capitalismo – il vero regista occulto ed impersonale della selezione dei capi e/o della circolazione delle élites. Su queste basi è chiaro che non può esistere una guida del mondo capace di decisione sulla ricostruzione del binomio spazio-tempo, sulla costituzione cioè di un nuovo nomos. In particolare, il declino dell’Occidente – sostanzialmente: crisi dell’atlantismo più incapacità della UE di darsi una forma politica, trasformandosi da spazio sistemico in spazio dell’ethos – è rappresentato da governanti che sfruttano tatticamente, anziché orientare, la dialettica speranza vs. paura, che hobbesianamente fonda il nesso protezione-obbedienza. Si tratta di leaders “info-social”, che accompagnano, determinandone il percorso e la direzione, la transizione dal mito del popolo al popolo come entità virtuale della postdemocrazia sociosistemica. Che sia il compimento della democrazia? Certo è il risultato dell’egemonia guidata e concreta dell’ideologia dell’antipolitica: il popolo vs. l’élite, ovvero la forma neonazionalista di circolazione delle élites, a volte riciclate! Fondamento di tale fenomeno è l’uso polemico del primato della legalità, che produce: “Tutto il potere all’onesta incompetenza”, idest all’incapacità di decidere, sostituita da proclami sui media spesso beceramente deliranti. È così che, attraverso l’ipertrofia del pathos antielitario, viene unificata la multitudo, dando solo rappresentanza a sentimenti legati alla fase contingente: di qui l’assenza di governo. L’élite può essere responsabile della gestione della crisi, che deriva però dal sistema sociale come organizzazione oggettiva e globalizzata dell’individualismo di massa: l’attacco alle élites serve, in maniera più o meno consapevole, a nascondere tutto ciò.  Schmitt ci ha insegnato che la sostanza giuridico-politica della democrazia è l’identificazione di legalità e legittimità. Ma la democrazia è prodromica al sistema sociale, la cui essenza – meramente giuridica, perché la politica viene ridotta a sottosistema – è il totalitarismo legalitario, idest il funzionalismo. È perciò il tentativo più radicale di annichilire il Politico come decisione, di annullare l’ethos europeo e in questo il pathos populista è il complemento ideologico perfetto, vista l’affinità elettiva dal punto di vista della concezione del diritto. Il populismo non è il nemico tattico dell’Europa, quello cioè di una fase; è piuttosto l’espressione politico-mediatica del suo vero hostis: il sistema sociale globalizzato che riduce lo spazio europeo a sottosistema, gigante economico-commerciale e nano politico come la nazione-guida della UE. Se poi si vuole risalire alle cause storiche più profonde dell’inqualificabile, intollerabile stato delle cose – sì: esiste anche un pathos filoeuropeo! – è col passaggio dalla ratio dello Jus Publicum alla raison della lex che il polemos politico-giuridico diventa legalità contro autorità. Il formalismo come assolutismo della legge è per essenza un attacco certamente anche alla potenza dello Stato assoluto, da cui però in fondo deriva: vedi il dispotismo illuminato. Ma il vero obiettivo è l’idea stessa di autorità, approfittando della crisi definitiva della sua forma cattolica. È lo stesso concetto di lex la vera fonte del funzionalismo, perfezionato dalla sociologia sistemica: “illuminismo sociologico” come compimento del primato della lex nella forma della totale spersonalizzazione del potere, attraverso l’ipertrofica esaltazione – naturalmente solo formale! – dei diritti degli astratti individui della civilisation. È così che lo Stato è risultato annullato come forma politica e ridotto a semplice macchina, sottosistema appunto. Si tratta di un destino per certi aspetti inevitabile per un’istituzione virtuale in quanto “dio mortale”: un’autorevole definizione ossimorica, che ne registra tutta la labilità strutturale dal punto di vista istituzionale. E dunque: che senso ha un’Europa di Stati? Scriveva Schmitt: “Una semplice relazione tra Stati…non può avere alcuna propria autorità, né a maggior ragione sovranità”. È solo “un consorzio o una comunità amministrativa in grande stile, un bureau per buoni uffici e mediazione, un’amena sede per conferenze.” Parlava della “Società delle nazioni”. Non sembra però la descrizione della UE? Si tratta, in fondo, di una burocrazia parallela a quella statale per coprirne i limiti e rilegittimarla e così politicamente riesce solo ad impedire la morte operativa dello stato, prolungandone l’agonia. La vera riforma dell’Europa come UE – un’organizzazione provvisoria, il minimo politicamente accettabile, in attesa della vera unità politica – deve rifondarla come potenza antistatale che sovradetermini il mito della nazione, un virus anti-europeo mai morto. L’innovazione dell’ethos europeo, a un secolo dalla morte geopolitica dell’Europa cristiana, deve ridefinire e dotare di nuove basi teoriche la teologia politica. È questa l’unico fondamento efficace e credibile di un’Europa-Istituzione come ethos agente per la costituzione di un ordine-mondo contro l’ingovernabile caos vigente, caratterizzato dai vari “first” degli spazi sistemici a vocazione imperiale. L’essenza dell’ethos europeo è l’idea di autorità come fondamento e telos dell’agire, l’azione che ne deriva è sovrana; perciò la sovranità è conseguente, non è il prius: è autorità e/o Istituzione carismatica agente. Ogni ipotesi di rifondazione politica dell’Europa non ha la capacità di produrre senso dell’agire, se parla di sovranità dell’Europa. Soprattutto, restando spazio sistemico, non è in grado di contrapporsi nell’immediato ai 3 progetti egemonici sull’UE: quello geostrategico che usa l’energia; quello di esercizio dell’infowar; infine, quello che mira al controllo delle strutture logistiche. Quindi solo l’idea di autorità, in quanto fondamento del Politico come decisione per l’ethos europeo e quindi sovrapposta a quella di sovranità, può dare concretezza al polemos contro il totalitarismo della lex. La totale giuridicizzazione della dinamica sociopolitica è volontà di annichilimento del Politico mediante cristallizzazione di un equilibrio creatosi dopo la soluzione di una forma di polemos: è presunzione della “fine della storia”.  Ma può esistere un equilibrio statico eterno? Il sistema sociale è un equilibrio dinamico come falso movimento per instaurare un ordine sociale globale, dietro cui si nasconde un’egemonia politica. La volontà di potenza egemonica è essenzialmente istanza di un’altra forma di egemonia: l’unico eterno ritorno è quello del polemos. Il vero fondamento dell’ideologia liberaldemocratica della “fine della storia” – una filosofia della storia postuma! – è la fobia del Politico. Ogni tentativo di riforma della UE è apprezzabile, ma non deve essere legittimazione dello status quo come forma nobile di nazionalismo: sarebbe peggio del nichilismo giuridico. Senza dimenticare che la politica è l’arte del possibile, non si può non osservare che contro il sovranismo populista serve una forma più radicale di polemos, se si vuole veramente sradicare la malapianta e tatticamente impedire la mediazione assai pericolosa col nemico dell’Europa. Il neonazionalismo europeo direttamente o indirettamente è strumento delle superpotenze, che, avendo distrutto la “vecchia Europa”, sono guidati dalla necessità di impedire la genesi di una nuova forma istituzionale di Europa. L’urgenza della formazione di un’Europa-Istituzione è dimostrata dal fatto che il dilagante populismo apre le porte anche ad un progetto egemonico asiatico sulla UE, conseguente all’attuale schema triadico della Weltpolitik. Il sovranismo populista è consustanziale e fattore di potenziamento di questo processo deleterio innescato e favorito dal nuovo quadro geopolitico determinato dal combinato disposto di fine del dualismo USA/URSS e dei nuovi equilibri, determinati dalla più grave crisi socioeconomica dopo quella del ’29. Eppure perfino la Brexit poteva essere un’occasione per la genesi di un embrione di autonomia europea, così come la fine della “cool war”, da occasione quanto meno di maggiore indipendenza della UE si sta trasformando in una pericolosa crisi geopolitica di ciò che resta del progetto dei paesi fondatori dopo la fine della II guerra civile europea globalizzatasi. Tra l’altro questo dimostra che chi crea disordine internazionale è destinato a declino, perché ha perso centralità egemonica.  La verità è che il neonazionalismo europeo può costruire e gestire una sedicente politica estera solo di piccolo cabotaggio, perché inevitabilmente priva di un disegno all’altezza di quanto richiesto dai tempi. Sanno, insomma, elaborare una geopolitica fondata solo sulla contingenza e quindi necessariamente subordinata alle strategie delle superpotenze extra- ed antieuropee, le uniche che si possono permettere un nazionalismo di respiro globale. In Europa chi accetta il nazionalismo s’illude di decidere, in realtà è destinato a subire decisioni altrui e le dinamiche oggettive della storia: sogna il dominio, mentre è dominato; vuole guidare la storia e provoca solo disastri: Brexit docet!
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