Materiali di teologia politica dell'Europa e contributi al realismo politico

L'Europa si definisce dall'interno con le grandi correnti che non cessano di attraversarla e che la percorrono da lunghissimi tempi (Lucien Febvre)

Sulla metafora del naufragio con spettatore
Interventi, 31 maggio 2018

Sono passati ormai quasi quarant’anni da quando, nel 1979, veniva pubblicato in Germania Schiffbruch mit Zuschauer. Paradigma einer Daseinsmetapher, il testo in cui Hans Blumenberg, il maestro della metaforologia, si produce in una magistrale rivisitazione della rappresentazione che Lucrezio aveva dato dello spettatore che assiste da uno scoglio al naufragio di una nave nel mare in tempesta. Naufragio, come metafora della traiettoria della civiltà europea che Blumenberg ricostruisce dalle sue origini a Fontanelle, da Pascal a Nietzsche e a Burckhardt, fino al completo smarrimento della tranquillità e del distacco dello spettatore nelle posizioni di Otto Neurath, secondo il quale è necessario ricostruire in mare aperto la nave naufragata, con i relitti galleggianti di precedenti naufragi. Un lavoro, dunque, di assoluta attualità, se si focalizza l’attenzione innanzitutto sullo stato attuale del continente Europa.

    Nel breve testo che segue si tenta un’integrazione del quadro metaforico dipinto da Lucrezio con la metafora dell’”angelo della storia” di Walter Benjamin e con il vento che di quell’angelo dispiega le ali, rintracciando in questo elemento il pneuma messianico che ha soffiato per secoli sull’Occidente e ne ha reso tempestosa la storia.
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    Nella sua disamina della metafora del “naufragio con spettatore” Blumenberg  non prende in considerazione un elemento fondamentale della situazione metaforica, addirittura la sua causa, ossia il vento. Il naufragio è determinato da una tempesta e la tempesta è provocata dall’alzarsi e intensificarsi del vento: l’acqua del mare si agita perché si è agitata l’aria al di sopra di essa. Ossia: la tempesta viene dall’alto. L’omissione di questo fattore e di questa relazione con il cielo finisce così per restringere lo sguardo ad un piano orizzontale che impedisce di analizzare a fondo il quadro metaforico. L’introduzione del vento come protagonista della scena consente invece una connessione con Walter Benjamin e con la sua immagine dell’angelo le cui ali sono rigonfie del vento messianico che soffia dal passato e spinge verso il futuro. Da questo punto di vista, la tempesta non rappresenterebbe genericamente una condizione esistenziale umana universale, quello dell’essere gettato nella contingenza del “navigare”, ma la specificità dell’umanità europea nell’eone cristiano, l’umanità sottoposta alla potenza sconvolgente della pulsione messianica, del desiderio del regno, messo in forma dall’istituzione ecclesiale cattolica e dal Sacrum Imperium  nel lungo periodo medioevale, ma liberatosi con il venir meno di questo limes a partire dalla Riforma e dalla scoperta di un Nuovo Mondo. Da allora, non solo l’Inghilterra, ma l’intera Europa è divenuta una nave, una terra-mobile mossa dalla volontà di appropriazione del globo e di instaurazione del Regno, una nave sospinta dal vento che soffia dove vuole, ossia al di fuori di qualsiasi forma istituzionale, una nave le cui vele sono rigonfie del soffio dello Spirito gioachimita (prima ancora che hegeliano), che innanzitutto soffia in interiore homine.
      Da questo punto di vista, la formula di Pascal citata da Blumenberg, “Vous êtes embarqué”, di nuovo, non designa l’universalità della condizione umana nella modernità, ma la condizione dell’Europa nella bufera del messianesimo liberatosi prometeicamente dalle catene delle istituzioni ecclesiale e imperiale, quell’Europa che, per salvarsi, ha finito per imbarcarsi sulla navicella dello “Stato”, o meglio: del sistema degli Stati.
    Il naufragio, infine, effettivamente si è verificato e la moltitudine delle potenze messianiche ha potuto celebrare il banchetto del Leviatano e dell’intera Europa occidentale. Ma ad inabissarsi nell’immanenza del sistema globale è stato anche il messianesimo stesso e dunque possiamo concludere che ormai ci troviamo a vivere in un’epoca post-messianica in cui il messia è ormai annegato nella “seconda guerra dei Trent’anni” e nel successivo confronto tra l’escatologia comunista e quella americana. Oggi siamo già oltre tutto ciò e annaspiamo in un mare in tempesta agitato dal vento della potenza della tecnica, ormai autonomizzatasi dalla sua stessa radice. Dal naufragio ci si salva aggrappandosi a una tavola e dunque il compito è quello di “farsi una nave con i resti del naufragio” (titolo del capitolo 6 del libro di Blumenberg); la dogmatica della modernità impone che tale tavola sia costituita dalla scienza e dal mito darwiniano: “Si deve costantemente tener conto che si è alla deriva; da lungo tempo non è più questione di navigazione e di rotta, dello sbarco e del porto. Il naufragio ha perduto la sua azione-quadro. Ciò che deve essere detto è: la scienza non fornisce quello che i desideri e le pretese avevano tradotto in aspettative ad essa rivolte; ma quella che essa fornisce, non può essere essenzialmente superato e basta alle esigenze della conservazione della vita. (…) la difficoltà di una spiegazione della <disposizione finalistica, apparentemente intenzionata, della natura> è sì grande, ma non <assolutamente trascendente.> Con la teoria della selezione naturale Darwin avrebbe offerto la possibilità, perlomeno di aggirare l’ipotesi di un finalismo immanente della creazione organica. (…) La tavola è il massimo che si può pretendere dalla situazione di autoiniziativa immanente dell’uomo tramite la scienza”. (Naufragio con spettatore pp. 105-06)
      In antitesi a questa dogmatica, in cui la “tavola” a cui ci si aggrappa è costituita dalla “fede” nell’evoluzione e nell’auto-affermazione dell’umano che si è data nella modernità, Epimeteo avanza al contrario l’ipotesi di ricerca secondo la quale la tavola sia rappresentata da un ripensamento del trinitarismo, l’eredità dell’eone cristiano, per cui dio non sarebbe un’identità indifferenziata, ma una identità che ha la differenza in sé e che l’uomo sia l’immagine di tale identità; a partire da questo “fondamento” teologico si tratterebbe allora di percorrere il sentiero di una antropologia teologico-politica che consenta di navigare il mare tempestoso del disordine globale, sapendo che non vi è alcun porto in cui rifugiarsi, alcuna redenzione futura, ma nello stesso tempo possedendo la certezza che ciò che esiste è significazione del trascendente e quindi ha un senso.

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