Materiali di teologia politica dell'Europa e contributi al realismo politico

L'Europa si definisce dall'interno con le grandi correnti che non cessano di attraversarla e che la percorrono da lunghissimi tempi (Lucien Febvre)

Arnold Gehlen. La nostalgia dell’ istituzione
Ricerche, 31 maggio 2018

 “All’uomo l’origine principale si mostra solo da ultimo” Heidegger

    L’uomo per la sua costituzione fragile e carente, per la sua Mengelwesen è stato costretto innanzitutto a dover ridurre l’eccesso di pulsioni per poter costituire un proprio mondo. La sua stessa plasticità lo ha spinto ad una scelta nei confronti non di una Umwelt, ma di un caos di possibilità che minacciavano di travolgerne l’esistenza aperta al mondo. Questa Stellungnahme, che ha consentito di far fronte all’imprevedibilità degli eventi e di porre un freno ad un’insicurezza congenita, ha rappresentato per l’uomo anche una presa di posizione rispetto a se stesso. “Sempre e sin nelle prestazioni più alte, l’appropriarsi del mondo è insieme un appropriarsi di se stessi, la presa di posizione verso l’esterno è una presa di posizione verso l’interno, e il compito posto all’uomo in uno con la sua costituzione è sempre un compito oggettivo da padroneggiarsi verso l’esterno, quanto anche un compito verso se stesso. L’uomo non vive, bensì conduce la vita”1. Definire la propria condotta di vita ha significato agire, plasmare un ambito sociale e culturale, soddisfare le necessità durature di vita. “E’ del tutto certo che lo spirito anche e proprio nei suoi più sublimi pensieri resta legato all’azione.”2 Infatti, se agire ha permesso di disciplinare la sovrabbondanza di stimoli, dando un contenuto ad un tessuto relazionale, altrettanto necessario si è rivelato impedire ad una “riflessione cronica” di inibire l’impulso vitale all’azione. Nei confronti di un magma pulsionale, volto ad un comportamento indeterminato, l’azione ha arginato la continua pressione dei bisogni elementari e determinato le condizioni della propria esistenza. “Si darebbe una situazione intollerabile se le pulsioni dell’uomo fossero meri ‘padroneggiamenti dell’adesso’, se tendessero solo al percepito e si esaurissero nei limiti della situazione attuale; la sua coscienza e il suo agire invece lavorano nel futuro, appunto andando oltre il contingente e l’immediato.”3
Alla necessità umana (e questo fin dai primordi) di dare un senso agli eventi e un orientamento sicuro alla precarietà della propria condizione, ha corrisposto il carattere durevole di un’istituzione sovradeterminata a  costumi, tradizioni, comportamenti, forme associative. “Di fronte all’apertura del mondo e allo svincolamento dell’uomo dagli istinti nulla può assicurare con certezza che si produca in genere un agire comune o che una volta prodottosi, esso non venga meno nuovamente l’indomani. L’istituzione si inserisce in questa lacuna.”4 Un tale processo di Entlastung ha rappresentato una modalità di vita e ha permesso all’uomo di abbandonare la propria immediatezza naturale, distanziandosi dalla propria costituzione instabile. “La sicurezza esistenziale esige che il vincolo sociale sia percepito come stabile e ordinato, e richiede un sostegno esterno oggettivo e visibile.”5 L’esperienza in un mondo illimitato non avrebbe consentito un’esistenza sul lungo periodo. “Una attiva pulsione verso l’esterno è sempre, al tempo stesso, una presa di posizione e un atto di padronanza verso l’interno. Solo in questa forma questo dato di fatto entra nelle istituzioni, nelle quali i nostri bisogni individuali si intrecciano con le necessità generali, oggettive che l’esistenza viene ponendo alla società.”6 L’agire ha sempre strutturato un’obbligazione interna/esterna sovraindividuale e arazionale. Con la messa in discussione degli schemi causali dell’azione, il conseguimento razionale di uno scopo secondario si è rivelato innanzitutto frutto di un vincolo di fedeltà. Il riconoscimento di un’idea-guida è stato alla base di una motivazione di unità, l’elemento propulsivo per un tipo di comportamento relazionale saldo. Si è costituito un vincolo sociale di una condivisione superiore alle semplici necessità primarie, che non ha coinciso con alcuna linearità di un processo razionale. L’“immaginazione originaria” di una credenza ha istituzionalizzato una condotta comune. Il mantenimento di tale intensità ha determinato il sé di un ethos7.
    L’idée directrice è stata all’origine di un senso dell’agire, ha racchiuso in sé un’autorità che, nella durata, ha oltrepassato l’“infido terreno della soggettività” ed è stata fonte di stabilizzazione interiore8. Non a caso la religione ha assunto il rango di “istituzione delle istituzioni”, ponendosi al di là di ogni funzionalismo. “È stata la religione che ha evitato agli uomini di star sospesi nel nulla”9. La fede, a differenza del rito, non ha stabilizzato più il rapporto di un popolo con il mondo esterno, bensì una relazione di tensione e una interiorità collettiva. “Chi trova esagerata la forte sottolineatura del significato delle istituzioni per la natura e la Kultur umana rifletta sul fatto che il vincolo sociale in quanto tale è sorretto dall’istinto solo in ambiti parziali molto circoscritti.”10 L’istituzione, quale sintesi tra azione e struttura si è rivelata determinante per l’essere persona dell’uomo, consentendogli di andare oltre la propria naturalità, di plasmare e appropriarsi di una realtà-mondo. “È possibile pensare antropologicamente il concetto di personalità solo nella più stretta connessione con quello di istituzione”11. Come la forza del mutamento non è stata patrimonio della volontà singola, altrimenti il mondo dato si sarebbe rivelato un destino, così la “coscienza strumentale” non ha potuto sostituire la “coscienza ideativa” in sé ascientifica. “Ogni società umana in ogni epoca ha avuto una concezione del mondo. Proprio nella misura in cui la realtà si sottrae all’intervento trasformatore ed utile, viene sempre interpretata solo secondo il suo <senso>”12. La Zweckmäβigkeit non ha riguardato la costituzione istituzionale, bensì la successiva “tensione stabilizzata”13. Al di là dell’esperienza pratica di un agire zweckrational, una motivazione sovraindividuale profonda ha collocato storicamente l’istituzione sul crinale tra tensione stabilizzatrice e identificazione di un’alterità. Alla dinamica di differenziazione sociale, sfociata nell’utilitarismo, nella razionalizzazione dell’istituzione, ridotta a pura funzionalità strumentale per il soddisfacimento dei bisogni, viene contrapposto da Gehlen il fulcro dell’idée directrice che ha conferito uno “stile di comportamento”, una forma di condotta del tutto differente da quella praticata dalla massa individualista.14 “Vista dall’interno, una idée directrice è una norma, ossia un movente, o addirittura lo stadio iniziale di un’azione e, inoltre, il nucleo attorno al quale si addensa l’io e il punto in cui la coscienza di sé, trasformata, trova asilo. Essa è perciò l’unico contenuto della coscienza… a rimanere sempre motivo. Ne consegue che un simile “contenuto di tutti i contenuti” non è mai del tutto giustificabile agli occhi della ragione, poiché questa è l’istanza di trasferimento, ricombinazione, dissoluzione e ricomposizione. Accade addirittura che un’idée directrice inibisca, oltre certi limiti, questa forma di ratio: di qui la sua inconfutabilità.”15
Le forme istituzionali, quale depositum storico, hanno dimostrato di possedere un”autentico valore esistenziale” e hanno condizionato le stesse formazioni economico-sociali. I membri di un gruppo “si identificano con uno stesso non-io  e quindi non si imitano direttamente a vicenda, bensì fissano il medesimo ruolo di una terza entità nei loro rapporti reciproci.”16 La struttura ideale e formale dell’istituzione non si è subordinata ad istanze istintuali, né all’“intelligenza pratica diretta ad uno scopo”17, bensì è  stata generata dalla “coscienza immaginativa” e “chiamata” da un’idea direttiva  a conseguire un ordine superiore. “L’intero riflette la specifica posizione dell’uomo nel mondo: egli concepisce la propria unicità nel confronto con un’alterità su cui stagliarsi.”18 La sovrapposizione dello scopo all’originarietà della motivazione, al carattere fondante dell’idée directrice ha prodotto una funzionalizzazione delle “istituzioni” odierne, ridotte a macchine organizzative per conferire oggettività e previsioni operative. “Le istituzioni vengono sostituite da organizzazioni e…i programmi utilitari, funzionali, non incontrano più freni, né ostacoli, per cui assistiamo ad uno smodato estendersi dell’arbitrio”19;  l’esito è stato un profondo mutamento antropologico20. L’origine della conclamata estraneità all’idea di istituzione, secondo Gehlen, risiede nell’immanentizzazione della “coscienza ideativa”, quale unico esito ormai accettabile per il soddisfacimento degli scopi immediati21.
    Il lento e contraddittorio processo di razionalizzazione dell’istituzione moderna per Gehlen va riportato alla costituzione di un’ “autocoscienza indiretta”, già riscontrabile nei rituali arcaici mimetico-raffigurativi e magici; questi hanno permesso una rappresentazione oggettiva di quegli impulsi, esonerandoli da un’emotività dirompente. Nell’estraneazione in altro l’uomo aveva trovato una motivazione ad un “comportamento non finalizzato e tuttavia obbligatorio”. L’impressione di una potenza numinosa aveva generato un “obbligo indeterminato” e una reazione istintiva all’azione. “Tutte le immagini arcaiche del mondo sfociano nell’immagine di un’armonia prestabilita.”22 Tuttavia con la distruzione di una tale entente secrète arcaica con l’ambiente naturale e delle connesse raffigurazioni simboliche da parte prima del linguaggio del mito, e successivamente della struttura dogmatica del monoteismo, l’affermazione della priorità umana sulla natura ha oltrepassato i freni inibitori; la conseguenza è stata un sovraccarico di stimoli e di responsabilità che ha prodotto un ripiegamento della coscienza in se stessa. Così, indirettamente e imprevedibilmente, lo stesso a priori corporale umano è giunto a neutralizzare ogni autocoscienza acquisita nell’agire attraverso il proprio trascendersi in ciò che era altro. Si sono poste le condizioni destinate “ad aprire alla ragione umana un nuovo sconfinato campo applicativo”23; si è affermata una finalità pratico-strumentale di dominio del meccanismo tecnico-scientifico e una frantumazione di ogni concezione unitaria dal mondo.24 Un’“assoluta problematicità” è assurta ad unico orizzonte. All’agire è subentrata l’operatività funzionale e, parallelamente, è avanzato un soggettivismo fluido, quale esito “dell’impoverimento istituzionale e della confusione normativa tanto quanto lo è la vistosa debolezza e sensibilità di quello stesso soggetto.”25 Posta sullo sfondo la tensione al trascendente, l’uomo è diventato sempre più secondario e la dimensione tragica è stata la cifra del suo abbandono nel mondo. “Se si butta a mare la metafisica dogmatica si separa l’assolutezza dallo spirito del suo antico contenuto: Dio. A questo punto qualsiasi opinione può farsi valere in quanto, in fin dei conti, è pensata nello <spirito> e lo spirito è <assoluto>.”26 Gli automatismi dell’inarrestabile processo di esonero hanno reso l’uomo prigioniero delle sue stesse rappresentazioni soggettive; una tale introversione si è tradotta in una massa indifferenziata e nella singolarità di azioni senza capacità innovative. La fattibilità ha determinato lo scopo e lo scopo si è ridotto alla pura esistenza, in cui l’agire pratico-razionale è diventato funzionale all’ipertrofia degli impulsi, indicata da Gehlen come “la dittatura delle rappresentazioni che noi abbiamo del sociale”. Un’assoluta contingenza, un’“indeterminatezza oggettiva” hanno fatto seguito alla Institutionverlust e al corrispondente dilagare di potenze soggettive autoriproducentesi. Un profluvio di pulsioni e istanze immediate ha reso l’istituzione una “pura macchina per il benessere”, priva di un’autonomia politica e di capacità di direzione. La routinizzazione della funzione di Entlastung ha assorbito ogni energia motivazionale. “Il sistema non si regge soltanto sul postulato del diritto universale al benessere, il sistema tende anche a rendere impossibile la posizione contraria, il diritto alla rinuncia al benessere e precisamente in quanto produce e automatizza i bisogni stessi del consumo.”27 Un’epoca caratterizzata da energie automatizzate e necessità artificiali, scettica nei confronti dell’idea-guida, si è dimostrata in realtà permeata da una forte criticità. Il rischio proviene sempre dal foro interno; i bisogni vogliono sempre più essere riconosciuti nei propri diritti. Con la neutralizzazione dell’istituzione, l’indifferenza per ogni eredità culturale e l’accelerazione esponenziale del processo di esonero “la civiltà tecnica non riesce a stabilizzare l’ambiente sociale”28. L’universalizzazione di una presunta tendenza innovativa ha dovuto supplire alla mancanza di radicamento di un assetto sociale proteso a riperpetuare se stesso e disinteressato ad un futuro-passato. E’ la “sazietà della vita” weberiana che qui ritorna. Ciò che ha trovato rappresentazione sono state aggregazioni di impulsi privi di un’obbligazione politica, ossia, dal punto di vista sociologico, “interessi organizzati” non più governati. Nikolai Hartmann ricordava come Gehlen svolgesse “un’antropologia corrispondente alla nostra epoca”29, un’antropologia quale ultimo residuo della Modernità. La messa in discussione del criterio di verità ha riproposto inesorabilmente l’interrogazione sulla natura dell’uomo, sulla sua condizione nel mondo, quindi sulla Kulturschwelle. “Chi solleva la questione del senso, o si è smarrito, o esprime –consapevolmente o inconsapevolmente- un’esigenza di istituzioni diverse da quelle presenti…Ma se a essere messe in discussione sono istituzioni del più alto livello, cioè gli ultimi sistemi nominativi, si annunziano conflitti molto drammatici.”30
  L’esonero, compiuto dalla tecnica, secondo la visione antropologica di Gehlen, appare imprescindibile per la formazione di un “mondo culturale”, per la “liberazione di capacità superiori”31. Tuttavia la sovrastruttura del nesso scienza-applicazione tecnica-sfruttamento industriale con la differenziazione e l’interdipendenza settoriale, ha trasformato radicalmente il mondo e ha fatto sì che gli uomini “abbiano abbattuto allo stesso tempo i sostegni invisibili della loro formazione spirituale.”32 La necessaria spinta all’azione ha determinato un processo di esonero sempre più accentuato dalla stessa azione; ha conformato a sé “l’uomo di fatto”, plasmandone le stesse relazioni sociali. Ormai il meccanismo tecnico ha conformato a sé la coscienza, ne ha inibito l’azione e ogni “elevazione dello spirito”. La potenza tecnica ha sussunto ogni ambito di organizzazione sociale, ha mutato la techne in technischen Weltbeherrschung, con una conseguente ridefinizione dell’agire e della percezione del mondo33. L’agire si è identificato con la “schematizzazione del comportamento” e un automatismo nei giudizi, il cui esito è stata una progressiva Weltfremdheit, di fronte ad una natura ridotta a “meccanismo legale”, ad oggetto di sperimentazione causale. Inoltre, la perdita di esperienze dirette, l’estraneità alla multiformità e complessità di ambiti disparati si è tradotta in una “intellettualizzazione del mondo”, in “una pura riflessione” che ha consegnato la sfera vitale ai fantasmi di un ribellismo inane o al neo-primitivismo dell’opinione pubblica. L’imposizione di “schemi di pensiero” da parte dell’apparato tecnico e una quantità strabordante di compiti pratico-cognitivi hanno reso la figura del “titolare di funzioni” adeguata alle coordinate del sistema. La novitas, automatizzatasi con il superamento della naturalità umana, è sfociata in una cristallizzazione sociale, nell’ottimizzazione delle funzioni sociali. Con la potenza tecnica cresciuta sui propri risultati tutto è diventato utilizzabile e altrimenti possibile. La necessità ha inglobato ogni intenzionalità; alle iper-rappresentazioni soggettive si è associato un impoverimento dell’agire, una routine di massa preda delle circostanze. Una tale razionalità strumentale non ha più avuto necessita di alcuna legittimità e non ha contemplato alcun “senso superiore” dell’agire. Sostenere un’autosufficienza dell’umano ha significato riconoscere il primato di una razionalità scientifica assorbita dalla protesi tecnica e volta all’appropriazione strumentale di un mondo circoscritto al circuito “stimolo-risposta-azione consumatoria”. Un puro incremento quantitativo ha comportato un “comportamento oggettivo”, un Sachverhalt privo di motivazione. Una parassitaria “secolarizzazione della secolarizzazione” si è alimentata dell’ottimismo illusorio di una razionalità autoreferenziale e della perfettibilità umana. La cristallizzazione di bisogni e interessi più prossimi ha prodotto razionalizzazione oggettiva ed esonero soggettivo. Le continue innovazioni non hanno provocato alcun mutamento strutturale; tutto si è trasformato in evento naturale; all’ipertrofia della ricerca ossessiva della novitas ha fatto ricorso la reiterazione di procedure operative.
    La realtà di una standardizzazione della vita è data. Secondo Gehlen all’avanzata vorticosa dell’apparato tecnico-scientifico non si può sfuggire: una scelta è una scelta di ciò che è già stato scelto. Non si può, né si deve abbandonare il progresso tecnico e il “mondo culturale”; il problema cruciale consiste piuttosto nel preservare, tramite l’istituzione, “una parte dell’esistenza e dell’efficacia dell’Ideale” per non sprofondare nell’arbitrio soggettivistico34. Dopo la “fine della metafisica” e dell’illusione dell’“uomo nuovo” questo è ciò che necessariamente accade. Ogni forza si è fatta empirica con la “disgregazione della realtà dello spirito”. Il pragmatismo (anglosassone), stabilizzando il rapporto azione/coscienza e riconoscendo questo stato di fatto, si è posto in alternativa alla crisi della Kultur europea, soffocata da fantasie di “emancipazioni future universali” e ormai priva di un’effettiva esperienza. La funzionalizzazione normativa ha trovato un corrispettivo nell’universalizzazione della morale di un’umanità privatizzata35. La tecnica è diventata il “grande uomo” e “l’uomo tecnologico” si è risolto 37nel Bedürfniswesen, il cui criterio consiste unicamente nel soddisfacimento di condizioni pratiche di vita. Associare il futuro alla tecnicizzazione della vita e “lasciarsi consumare” nel privato, in cambio della sicurezza di bisogni elementari di massa, per Gehlen significa associare “fine della personalità” con una post-histoire36: la cancellazione di ogni orizzonte di senso e della possibilità di orientare il comportamento. “Ha inizio l’iperidealità del soggettivismo o la vendetta sull’ideale, oppure si cerca sbocco nella vitalità.”37 “Al termine di una lunga vicenda della cultura e dello spirito, la concezione del mondo basata sull’entente secréte, la metafisica che descriveva l’accordo e il conflitto tra le potenze della vita, è stata distrutta, per un verso grazie al monoteismo, per l’altro grazie al meccanismo tecnico-scientifico cui lo stesso monoteismo, espungendo demoni e divinità dalla natura, aveva sgombrato il campo. Dio e la macchina sono sopravvissuti al mondo arcaico e ora si ritrovano soli faccia a faccia. Non è allora una questione da poco chiedersi se il mondo interiore sia un’anima o uno spazio fluido di fenomeni soggettivi che ruotano intorno a se stessi, che può essere studiato solo se lo si concepisce come un mondo interiore di fatti alle cui spalle occorre cercare quale meccanismo operi.”38
Il capitalismo e la democrazia se hanno garantito un’esistenza di massa e un livellamento dell’agire, hanno altresì svuotato le istituzioni dall’interno, erodendone ogni energia ideativa. “Le idee direttive non possono vigere soltanto nella testa, debbono essere riflesse da istituzioni reali ed essere compenetrate nei fondamenti del comportamento quotidiano.”39 Di fronte ad un radicale spaesamento per la pretesa di razionalizzare lo spirito umano e di neutralizzare ogni riserva istituzionale, Gehlen, in opposizione allo strapotere del reale accenna, e auspica, l’alternativa di una condotta ascetica estranea al soggettivismo fluido e informe dell’Epochenschwelle della cristallizzazione sociale40. In controtendenza alla proliferazione illimitata degli impulsi “l’ascesi deve sospingere proprio verso ciò che è difficile portare a termine, e questo, al giorno d’oggi, consisterebbe nella rinunzia ai vantaggi dell’opinione pubblica, al montaggio del consenso, alle agevolazioni offerte da surrogati della vita a bassa tensione.”41 L’obbligazione ascetica, con un equilibrato contenimento della pressione pulsionale, potrebbe permettere la ripresa di una condotta ideativa, che si tradurebbe nell’assunzione di responsabilità verso la propria storia,  senza rinunciare alla Zivilisation. “L’ascesi, se mai comparisse, sarebbe il segnale di una nuova epoca”42: Träger di un’idée directrice in sostituzione dell’homme situé, di una “aristocrazia senza rischio”, “priva di tensioni, priva di tragicità, autocomprensiva, autocompiacente”. Un’“attiva diminuzione degli istinti”, un limite alla volontà di dominio sulla natura e all’accumulo di beni potrebbe prendere la forma antropologica di una “élite istituzionale” dotata di energia progettuale e in grado di favorire un mutamento dell’immagine umana del mondo43. “Questa eterna rivoluzione contro la determinazione dell’uomo a creatura, alla dura necessità e ai faticosi doveri, questa eterna rivoluzione, dalla quale l’uomo emerge come essere sempre più naturale e che desta sgomento, non sarà terminata finché qualche élite, qualche “minoranza creativa”, non accetterà l’incredibile sfida che è contenuta nello sviluppo, conseguente e imperante ma privo di senso: nel trend verso il benessere su scala planetaria.”44 Ora, una tale analisi disincantata e scettica di fronte alla divaricazione tra direzione politica e apparato istituzionale ha spinto Gehlen, in realtà, all’accettazione di una Umweltstabilisierung da parte di quell’a priori artificiale, di quel simbolo dell’impulso alla sicurezza che ormai rappresenta la normatività istituzionale.
    “La sua <del filosofo> volontà di dire il vero si riduce al dovere di indicare l’ambiguità diffusa ovunque e, parallelamente, egli non può che additare la dimensione intangibile del normativo, come fece Hölderlin, dicendo del nomos di Pindaro: <Il nomos, la legge, qui è disciplina, per quanto quest’ultima è forma in cui l’uomo incontra il dio, la chiesa e la legge dello stato, e l’antica eredità di ordinamenti che, più severi dell’arte, trattengono i rapporti vitali in cui, nel tempo, un popolo ha incontrato e incontra se stesso>.”45 Conclusione sconsolata, quasi di rassegnazione dinanzi alla “vittoria scientista”, ma sottotraccia sembra permanere una tacita nostalgia per forme istituzionali teleologiche o semi-arcaiche. L’idea della natura profonda dell’istituzione rimane viva solo nella nostalgia di un’antropologia politica.
    NOTE
    1. Gehlen A., L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo (1940), Milano 1983, p. 200
2. Gehlen A., L’immagine dell’uomo nell’antropologia moderna (1953), in Idem, Antropologia filosofica e teoria dell’azione, Napoli 1990, p. 213
    3. Gehlen A., L’uomo, cit,, p. 78
4. Gehlen A., ivi, p. 168
    5. Gehlen A., Le origini dell’uomo e la tarda cultura (1956), Milano 1994, p. 61
6. Gehlen A., L’uomo, cit., p. 200
    7. “L’uomo non sa ciò che è, per questo non può realizzarsi direttamente ma deve lasciare che le istituzioni lo concilino con se stesso.” A. Gehlen, Morale e ipermorale. Un’etica pluralistica (1969), Verona 2001, p. 110
8. “Se a questa coscienza che in precedenza avevamo chiamata metafisica, diamo ora il più consono nome di ideativa, è possibile dire che la sua energia creativa si rivela nella fondazione di istituzioni che per loro essenza hanno il loro fulcro in una idée directrice, in un’idea-forza”; “un sistema direttivo (ad esempio il cristianesimo puritano o l’etica confuciana) può essere scientificamente e oggettivamente compreso solo in rapporto alle istituzioni sociali nelle quali si incarnò e visse” A. Gehlen, L’uomo, cit,. pp. 441, 429
    9. Gehlen A., Religion und Umweltstabilisierung, in O. Schatz, hrsg., Hat die Religion Zukunft?, Gfraz-Wien-Köln 1971, p. 86. “Riteniamo che la primaria, complessa connessione tra il comportamento ideativo, l’obbligazione ascetica, l’inattesa opportunità ontologica che venne in tal modo rivelandosi e la sua istituzionalizzazione sotto l’egida di un’unica idea direttiva costituisca l’autentico nerbo della religione” A. Gehlen, L’uomo, cit., p. 451. La religione si dimostra interpretazione dell’esistenza, norma di comportamento e stabilizzazione della contingenza, anche se Gehlen ritiene la secolarizzazione ormai interna allo stesso cristianesimo, ridotto ormai a semplice conato morale. Per una visione complessiva dell’idea di religione in Gehlen si rimanda all’analisi complessiva di F. Ley, Arnold Gehlens Begriff der Religion, Tübingen 2009
10. Gehlen A., Le origini dell’uomo e la tarda cultura, cit., p. 52. “L’uomo può maturare un rapporto duraturo con se stesso e con i suoi simili solo indirettamente, si deve ritrovare facendo un deviazione, estraniandosi, e là ci sono le istituzioni…Le istituzioni sono gli ordinamenti e i diritti che conservano e consumano, che ci sopravvivono di gran lunga, nei quali gli uomini si immettono a occhi aperti, con un tipo di libertà che è, per chi osa, forse più alta di quella che consisterebbe nell’̏attività autonoma”, nell’“Io che pone se stesso” di Fichte oppure nel suo fratellastro moderno, nel Man for himself di E. Fromm” A. Gehlen, Sulla nascita della libertà dalla estraniazione (1952), in Antropologia filosofica e teoria dell’azione, cit., pp. 437-438
    11. Gehlen A., Uomo e istituzioni (1960), in Idem, Prospettive antropologiche, Bologna 1987, p. 99. L’elemento personalistico potrebbe essere interpretato come una derivazione da una motivazione-chiamata (Berufung) aperta al trascendente, una relazione che si manifesta come analogon istituzionale, come ethos storico. Gehlen riferisce all’idea di persona la possibilità che “si creda ancora alla verità”.
12. Gehlen A., L’immagine dell’uomo nell’antropologia moderna, cit., p. 214
    13. “Le organizzazioni fondate su uno scopo restano legate al parametro dell’utilità e perciò non raggiungono mai completamente quell’autonomia che penetrando nell’interiorità dell’uomo, lo eleva al di sopra di se stesso e lo esonera della sua particolare casualità, indicandogli una destinazione.”; e inoltre “Le teorie utilitaristiche sulle istituzioni sono autodistruttive quando si tratta solo di sottrarre tali istituzioni al caos delle opinioni, per il semplice fatto che sollevano e contemporaneamente lasciano aperta la questione su chi sia autorizzato a esprimere gli scopi della società.” A. Gehlen, Le origini dell’uomo e la tarda cultura, cit., pp. 266
14. “le teorie utilitaristiche sulle istituzioni sono autodistruttive quando si tratta solo di sottrarre tali istituzioni dal caos delle opinioni, per il semplice fatto che sollevano contemporaneamente e lasciano aperta la questione su chi mai sia autorizzato a esprimere gli scopi della società.” A. Gehlen, Le origini dell’uomo e la tarda cultura, cit., p. 74
    15. Gehlen A., ivi, p. 272
16. Gehlen A., L’uomo, cit., p. 443; Idem, Le origini dell’uomo e la tarda cultura, cit., p. 113: “l’uomo non può, in effetti, affermare nulla da sé in modo diretto, ma si concepisce solo a partire dal non-umano, nel confronto e nella contemporanea distinzione di sé da quello.” Interessante sul fondamento antropologico delle istituzioni H. Kammler, Zur anthropologischen Fundierung der Theorie der Institutionen, in Politische Vierteljahresschrift, 9, 1968, p. 353sgg.
    17. Gehlen A., Le origini dell’uomo e la tarda cultura, cit., p. 265.
18. Gehlen A., ivi, p. 113
    19. Gehlen A., L’uomo nell’età della tecnica (1957), Milano 1984, p. 201
20. “Le istituzioni della società moderna si sono ridotte al funzionale…<mentre> l’essenziale di un’istituzione è il suo trovarsi al di sopra di ogni determinatezza: l’istituzione non deve essere soltanto utile e adeguata allo scopo nel senso più diretto, pratico, ma anche costituire un punto di collegamento e un “sostegno del comportamento” (behavior support) di interessi superiori, anzi dare il diritto e la possibilità d’esistere anche alle motivazioni più esigenti e più nobili.” A. Gehlen, L’uomo nell’età della tecnica, cit., p. 200
    21. Gehlen distingue nettamente la “coscienza ideativa”, quale atto spirituale fonte dell’idea-forza, dalla “coscienza strumentale” empirico-operativa.
22. Gehlen A., Le origini dell’uomo e la tarda cultura, cit., p. 127, 161, 176.
    23. Gehlen A., ivi, p. 267.
24. Gehlen A., ivi, p. 175.
    25. Gehlen A., Uomo e istituzioni, cit.,, p. 102.
26. Gehlen A., Le origini dell’uomo e la tarda cultura, cit., p. 100.
    27. Gehlen A., L’uomo nell’età della tecnica, cit., p. 132.
28. Gehlen A., ivi, cit., p. 87.
    29. N. Hartmann, Neue Anthropologie in Deutschland. Betrachtungen zu Arnold Gehlens Werk ‘Der Mensch’ (1941), in idem, Kleine Schriften III, Berlin 1958, p.378sgg.
30. Gehlen A., Le origini dell’uomo e la tarda cultura, cit., p. 69.
    31. “Se per tecnica si intende la capacità e i mezzi con cui l’uomo mette la natura al suo servizio in quanto ne conosce proprietà e leggi, le sfrutta e le contrappone le une alle altre, allora la tecnica, in questo senso più generale, è insita già nell’essenza stessa dell’uomo.” A. Gehlen, L’uomo nell’età della tecnica, cit., p. 12.
32. Gehlen A., ivi, p. 88.
    33. In particolare A. Gehlen, Die beschleunigle Welt. Leitmotive der Industriegesellschaft, in Idem, Gesamtausgabe VI, Frankfurt a. Main, 2004, p. 180sgg.
34. Gehlen A., L’uomo nell’età della tecnica, cit., p. 203.
    35. Gehlen A., Morale e ipermorale, cit., pp. 155-156.
36. Gehlen A., Die Säkularisierung der Fortschritts (1967), in Idem, Gesamtausgabe VII, Frankurt a M. 1978, p. 403 sgg.
    37. Gehlen A., Le origini dell’uomo e la tarda cultura, cit., p. 274.
38. Gehlen A., Le origini dell’uomo e la tarda cultura, cit., pp. 269-270; e in Idem, p. 149: “Il monoteismo, come fede in un dio invisibile dovette…rendere il mondo esterno neutro ai fini della salvezza, dovette ‘demitologizzarlo’. Esso poté abbattere i sostegni esterni del comportamento arcaico-rituale indicando all’uomo la via per l’interiorità: la via della fede. Questo processo elevò l’uomo e sminuì la natura non-umana: gli dei teriomorfi e i demoni naturali scomparvero.”
    39. Gehlen A., L’uomo, cit., p. 447
40. “Piantati in asso dalle istituzioni e abbandonati a se stessi, non si può reagire in altro modo che con questa elevazione dell’interiorità” A. Gehlen, Uomo e istituzioni, cit., p. 102.
    41. Gehlen A., Le origini dell’uomo e la tarda cultura, cit., p. 271.
42. Gehlen A., L’uomo nell’era della tecnica, cit., p. 89. 43. Gehlen A., Das Elitenproblem (1952), in A. Gehlen, Gesamtausgabe VII, cit., p. 108.
    44. Gehlen A., L’immagine dell’uomo alla luce dell’antropologia moderna, cit., p. 184; “Si possono intendere la libertà, l’uguaglianza, il progresso, l’umanità e molte altre categorie dell’epoca moderna come contenuti cristiani secolarizzati: per l’ascesi nessuno ha osato ancora…Questa è una cosa che evidentemente non si fa tramutare in frasi fatte senza incorrere in una vera assurdità. L’antropologia, al contrario, la deve considerare un’eminente categoria. La si può perfino considerare, muovendo dalla sua riduzione attiva degli istinti, una prosecuzione del processo di ominazione”, ivi, p. 183.
45. Gehlen A., Le origini dell’’uomo e la tarda cultura, cit., p. 271.
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